I GUARITORI DI CAMPAGNA

 

di Patrizia LUNGONELLI

 

( da “Il Cantastorie”, n° 62 - luglio dicembre 2002 )

 

 

 

 

Paola Giovetti, giornalista e scrittrice nel campo della parapsicologia e delle scienze dello spirito, narra in un suo libro "I guaritori di campagna. Tra magia e medicina" - Edizioni Mediterranee di Roma (p.e. 1984), in forma di intervista, la cronaca di un viaggio nell'Italia di ieri, alla scoperta delle pratiche terapeutiche magico-religiose ancora presenti negli ambienti rurali. Il testo è corredato da una serie di fotografie che ritraggono i guaritori intervistati dalla giornalista durante i loro rituali magici e gli oggetti impiegati per le guarigioni. Nell'ultima parte del libro sono riportati i pareri, sull'argomento, di tre docenti di antropologia culturale: Vittorio Lanterani (Università di Roma), Tullio Seppilli (Università di Perugia), Luigi Lombardi Satriani (Università della Calabria).

 

 

                                       

 

 

Le prime ricerche in questo campo risalgono agli anni cinquanta, quando Ernesto De Martino in "Sud e magia" e ne "Il mondo magico" descrisse i fenomeni legati alla magia cerimoniale e alla sua funzione psicologica e terapeutica. De Martino pensava allora che il progresso economico e sociale avrebbe condotto alla scomparsa di questi riti arcaici. Ancora oggi ci rendiamo conto che tutto ciò non è accaduto, che la povertà o il ritardo culturale di certe zone dell'Italia non erano, in realtà, le uniche motivazioni che giustificavano la presenza di pratiche magico-religiose, attualmente diffuse anche in aree economicamente floride (Emilia Romagna e Lombardia) come Giovetti fa notare nella sua inchiesta. In realtà la figura del guaritore va oltre una mera funzione medico-terapeutica, in quanto esorcizza le tensioni e le ostilità del vivere quotidiano, si presenta come supporto psico-emotivo rispetto alle inquietudini e alle angosce della morte e della malattia, appaga il desiderio dell'uomo di conoscere o di dominare il suo futuro.

 

 

         

 

 

La magia, afferma Lombardi Satriani, non è connessa soltanto alla società contadina, come un certo tipo di stereotipo agro-pastorale vuol farci ancora credere, anche nella società industrializzata ed urbana persistono e prosperano i rituali magici.

La prima grande differenza tra ambiente contadino e ambiente urbano, sottolinea Paola Giovetti, è che i guaritori di campagna hanno usanze e abitudini diverse da quelli di città. Quest'ultimi, infatti a differenza dei primi, utilizzano strumenti moderni di tipo persuasivo, come la pubblicità e i mass media, esercitano quest'arte come un mestiere e detengono un vero e proprio tariffario per le loro prestazioni.

Il guaritore di campagna, invece, usa i suoi poteri terapeutici non per lucro (ha infatti il suo lavoro, o se anziano, è pensionato), rifiuta, categoricamente il denaro, tutt'al più accetta un dono, come riconoscenza del suo operato che considera un dovere sociale e religioso.

Inoltre la fama o la conoscenza del guaritore di campagna si diffonde tra la gente, da un paziente all'altro, con il semplice, ma efficace, passa parola.

 

 

 

 

 

Nei territori esplorati dall'inchiesta: Oltrepò Pavese, Umbria, Toscana, Lazio, Campania, Sardegna, Lucania si rileva che esistono profonde analogie nei rituali magico-religiosi nonostante le differenze di una geografia economica e culturale.

Paola Giovetti afferma che la medicina popolare ha sempre rappresentato, fin dall'antichità, un sistema di difesa della salute sia in senso preventivo che in senso terapeutico.

La figura carismatica del guaritore coinvolge attraverso i suoi riti la comunità e la famiglia e in questo particolare aspetto la medicina popolare non presenta alcuna analogia con la medicina ufficiale.

Le cause delle malattie sono da ricercarsi in elementi esterni che l'ammalato tende a personificare, come nella possessione, negli invasamenti, nel malocchio, nelle fatture oppure attraverso una caduta delle sue difese personali.

 

 

        

 

 

Tra le terapie preventive rientrano i rituali con gli amuleti, i portafortuna, gli "abitini"(sacchetti magici con contenuto ibrido dato dai simboli legati alla religione, es. un frammento della stola del prete o un pezzo della corda di una campana, con chicchi di grano, di riso, erbe miracolose, coda di lucertola), che inducono forti suggestioni nel soggetto, catalizzano i meccanismi interiori psicosomatici e di conse­guenza attivano i processi di difesa dell'organismo.

Le malattie curate dai guaritori sono assai specifiche: il fuoco di S.Antonio, gli orzaioli, i porri, le storte, le sciatiche, i vermi dei bambini, la erisipola.

Da non trascurare l'eventuale capacità pranoterapeuta e sensitiva del guaritore di campagna il quale però molte volte, sembra essere ignaro di possedere tale dote naturale.

 

 

     

 

 

I rituali pagani da duemila anni si sono sovrapposti a quelli cristiani, tanto che i guaritori di campagna usano spesso immagini o medagliette raffiguranti Santi o ricorrono alla gestualità religiosa come il segno della croce ripetuto più volte (il tre è il numero magico), la cosiddetta segnatura della parte malata.

Il terapeuta, analogamente allo sciamano delle società primitive, racchiude insomma una duplice funzione: quella religiosa (di intermediazione tra il mondo reale e l'aldilà) e quella curativa. L'idea di un intervento di tipo soprannaturale apre certamente grandi interrogativi su quanto si misuri l'efficacia dell' atto terapeutico con la suggestione dell' ammalato.

La Chiesa ufficiale mostra da sempre scetticismo ed avversione per questo tipo di credenze, nonostante la fede religiosa sia un elemento essenziale presente nel guaritore e venga richiesta a chi riceverà una segnatura. Qualche sacerdote, comunque, figlio o parente di guaritori, nonostante i diktat ecclesiastici, mostra tolleranza o a volte crede a questo genere di cose.

 

 

                                       

 

 

Racconta Rita, romagnola di Sarsina (il paese che diede i natali a Plauto), prescelta dalla nonna per tramandare quest'arte: "Quando fui battezzata dentro le fasce la nonna nascose quello che serve per segnare: un tralcio di vite per le storte, i fiori per gli occhi, i chicchi d'orzo e di riso per i porri, un filo nero infilato in un ago per l'orzaiolo. Tutti questi strumenti nascosti nelle fasce sono stati battezzati con me e penso che anche i miei fratelli li avessero".

Se questo rituale non accadeva il bambino non poteva ricevere la virtù, che doveva risalire dal momento del battesimo ed essere completata quando "l'erede" era abbastanza grande da poter tenere a mente le formule segrete ed essere sicuri che non le svelasse a nessuno.

 

 

 

 

 

La "consegna" della formula rituale probabilmente ancora oggi, come nel passato, avviene la notte di Natale, considerata magica per eccellenza. Il guaritore sceglie la persona a cui svelare le parole segrete e quest'ultima deve ripeterle dentro di sé fino a memorizzarle; niente può essere pronunciato o messo per scritto.

 

       

 

 

Predestinati a questo tipo di sorte rivela Angela, settantenne di Fusignano (Ra), erano anche coloro che "nascevano con la camicia". Questa metafora che ancora oggi sta a significare "nascere fortunati", deriva in realtà dal mancato distacco del sacco amniotico fetale (la camicia appunto) al momento della nascita. "Nascere vestiti veniva ritenuto segno di particolare fortuna e soprattutto di particolare virtù, per esempio quella di guarire. Quando dunque un bambino nasceva vestito, si provvedeva immediatamente a rompere il sacco perché il piccolo potesse tirar fuori la testa e respirare, e poi prima ancora di vedere se era maschio o femmina lo si investiva del potere di segnare questa o quella malattia: il che avveniva a volte attraverso un piccolo rito che consisteva nel pronunciare certe formule e preghiere, dopo aver messo in mano al neonato un oggetto che simboleggiava la malattia che si voleva che curasse: un carbone per il fuoco di S. Antonio, un baco da seta per i vermi e così via. Parole e segno venivano poi insegnati al bambino appena era in grado di capire." Oggi naturalmente ciò non accade più per l'intervento ostetrico che separa il bambino dalla membrana amniotica aderente al suo piccolo corpo.

Il materiale usato per la magia è costituito da oggetti semplici: vegetali come i fiori, gli steli di grano, i rami, oppure il pane, il vino o la celebre goccia d'olio contro il malocchio.

 

 

                       

 

 

Terminata la lettura di questo libro-reportage mi domando se la sopravvivenza di questo tipo di tradizione popolare, sia soltanto da ricondursi ad una contraddizione dell'epoca moderna. Il nostro paese pur assicurando un'assistenza sanitaria adeguata, in realtà rispecchia, le distorsioni di una "politica della salute" deviata (come intenti) ed espressione qualche volta di una negligenza della medicina ufficiale.

Infatti il medico professionista è sempre più disattento ed incapace di ascolto, segue la frenesia lucrosa dei guadagni, si dimentica, insomma, che esiste il "malato" e non la "malattia".

 

 

 

 

 

Inoltre la medicina settorializzata e parcellizzata nelle numerose specializzazioni, di fatto trascura il concetto dell'olismo biologico, secondo cui la psiche ed il corpo non sono due entità separate, ma interagiscono nelle manifestazioni patologiche secondo delle leggi di interconnessione.

L'esito di tutto ciò è un disagio evidente che si esprime o attraverso la scelta delle medicine alternative, o al ricorso a pratiche che possano far ritrovare nel malato un senso di umana partecipazione e di calorosa accoglienza. In definitiva, possiamo quindi affermare che i riti magico-religiosi delle guarigioni, aderiscono perfettamente a questo tipo di esigenza per la capacità di arrivare alla profondità psicosomatica dell'individuo.